lunedì 27 settembre 2010

Fabrizio De André - Non al denaro, non all'amore né al cielo. Analisi




Quello di cui voglio parlarvi oggi è un disco molto particolare.
Edito nel 1971, in poco più di mezzora di durata, De André ci regala un'autentica perla della musica italiana. L'album è la trasposizione in musica di alcune poesie contenute nell'"Antologia di Spoon River", libro di Edgar Lee Master. Un libro che narra in forma di epitaffio la storia di persone sepolte nel cimitero cittadino. Si va dal giudice, al matto, al medico, ai soldati.
Il poeta/musicista genovese tratta i vari argomenti con una intensità difficilmente reperibile altrove e le varie tracce non chiedono che di essere ascoltate e amate.
Ma andiamo nel dettaglio:

1. La collina. Un vero e proprio intro, che fa la panoramica su ciò che troveremo all'interno dell'album e che inizia già a narrare a grandi linee la storia di persone decedute nei più svariati modi (Maggie uccisa in un bordello dalle carezza d'un animale, Herman bruciato in miniera, Bert ucciso in una rissa...ecc). Il tutto è arricchito da versi sublimi che oltre a deliziare con le immagini che regalano, fanno riflettere chi li ascolta. Cito: ...dove sono i generali che si fregiarono nelle battaglie con cimiteri di croci sul petto? Dove i figli della guerra partiti per un ideale, per una truffa, per un amore finito male? Hanno rimandato a casa le loro spoglie nelle bandiere legate strette perché sembrassero intere.... La canzone si placa nei toni all'ultima strofa, dove racconta di uno dei personaggi più significativi del disco, Jones il suonatore. Proprio in questi ultimi secondi troviamo il verso che da il titolo all'intero progetto: ...lui che offrì la faccia al vento, la gola al vino e mai un pensiero non al denaro, non all'amore né al cielo.... Tutti loro "dormono sulla collina".

2. Un matto (dietro ogni scemo c'è un villaggio). Si entra nel vivo delle individualità che pullulano l'album. Lo sventurato di turno è un uomo che in vita è stato da tutti considerato "matto", il classico scemo del villaggio. Solo la morte ha messo luce nei suoi pensieri e lo ha strappato alla pazzia. Canzone ritmata e godibile, che a un primo ascolto occulta un testo ben al di sopra delle aspsttative.

3. Un giudice. Forse il pezzo più conosciuto dell'album. La storia di un nano che spinto dal rancore verso una società che lo deride e lo etichetta come malvagio solo perché diverso, decide di dedicarsi agli studi e una volta divenuto procuratore ottiene la propria vendetta condannando a morte coloro che prima lo schernivano.

4. Un blasfemo (dietro ogni blasfemo c'è un giardino incantato). Un uomo è insidiato dalla legge, in un mondo in cui la religione ha priorità su tutto. Tuttavia non esistono norme che vietino di essere blasfemo, quindi viene arrestato con il pretesto dei vizi (le donne ed il vino). Viene ucciso da due guardie che gli cercano l'anima a forza di botte. L'attenzione si concentra però sull'aspetto teologico: ll blasfemo sostiene che dio imbrogliò l'uomo mettendolo all'oscuro dei fatti del mondo, il bene e il male, e racchiuse la conoscenza nel frutto proibito. Il protagonista afferma che, siccome la vita non gli è stata tolta dalla morte ma da due guardie, la mela proibita (la conoscenza) si trova qui sulla terra e che qualcuno ci occulta la vera realtà costringendoci a sognare nel "giardino incantato" che ha creato per noi.

5. Un malato di cuore. Un brano che trasuda romanticismo e passione. La malinconia di un bambino che guarda dalla finestra i propri coetanei giocare ma a cui non può aggregarsi a causa di un malfunzionamento del proprio cuore. In lui rimane però il ricordo di quell'estate in cui si innamora di una ragazza e vive con lei momenti talmente felici che il suo muscolo cardiaco non riesce a contenere. La luce per lui sfuma e il suo cuore le rimane sulle labbra.

6. Un medico. Comincia con il desiderio di un bambino. Il desiderio di voler guarire i ciliegi, a cui il rosso dei frutti ha rubato la salute dei candidi fiori. Il bambino diviene uomo e laureatosi dottore cura ogni malattia, anche quelle che i suoi colleghi rifiutano di curare perché i loro assistiti non sono in grado di pagare. Ma ben presto si rende conto che la beneficenza non frutta e non ti da da vivere. Messo alle strette dai familiari spaccia dei fiori di neve per un elisir di giovinezza e tenta di venderli. Viene arrestato per truffa e bollato per sempre truffatore e imbroglione. Dottor Professor Truffatore Imbroglione.

7. Un chimico. Un uomo di scienza non ha tempo per l'amore, di cui ignora i meccanismi e le alchimie. Si limita a fare il chimico conoscendo le leggi che uniscono idrogeno e ossigeno fino a farli divenire acqua. Non è mai stato in collina ad amoreggiare, ma la morte ce lo porterà, a "dar fosforo all'aria" nel cimitero. La canzone più semplice negli arrangiamenti e nel testo. Le atmosfere delle altre tracce lasciano il posto ad arpeggi e ad una metrica regolare.

8. Un ottico. Lo stesso non si può dire dell'ottava traccia. In "Un ottico" (canzone divisa in quattro parti, o clienti) troviamo degli arrangiamenti spiazzanti ed una metrica che trova un posto solamente all'interno del contesto. Qui il protagonista è un ottico che non vuole clienti normali, ma persone che vogliono vedere oltre i propri dieci decimi. Probabilmente si tratta di una metafora per descrivere un venditore di allucinogeni che provocano visioni migliori della realtà.

9. Il suonatore Jones. Torna nell'ultima traccia un personaggio che fa parte della panoramica offerta ne "La collina". La vita di un vecchio flautista che è vissuto della propria musica suonando per chiunque glielo chiedesse per il piacere di lasciarsi ascoltare. La morte lo coglierà con tanti ricordi e senza alcun rimpianto.

Credo di aver tracciato le linee guida necessarie all'ascolto del disco. Sono consapevole del fatto che ognuna delle singole tracce meriterebbe chilometrici discorsi, ma non voglio togliere a chi va ad approcciarsi al disco il piacere di scoprire da solo le emozioni comunicate da quel grandioso artista che è stato Fabrizio De André. Buon ascolto.

venerdì 24 settembre 2010

Dente - L'amore non è bello. Recensione


Uscito il giorno di S.Valentino. 14 febbraio 2009. Il nuovo album del cantautore romagnolo Dente, al secolo Giuseppe Peveri.
Esce come un monito, seguendo il precedente lavoro “Non c’è due senza te” e il giovane cantastorie sembra averci preso gusto con i proverbi da interpretare. Non vi sono tuttavia puntini di sospensione. Il nuovo album si intitola “L’amore non è bello”. Punto. Raccoglie al suo interno 13 tracce che rispetto al passato sono meglio arrangiate ed eseguite. Una produzione seria per un giovane molto promettente, finalmente.
Andiamo ad analizzarle singolarmente:

1) La presunta santità di Irene. Un minuto e trenta secondi di intro potrebbero sembrare troppi, ma l’ascolto è molto piacevole. Ricorda il Battisti degli ultimi tempi con un pizzico di freschezza in più. Il testo piuttosto breve risulta molto intenso e ispirato. Se questo è il principio….

2) Incubo. “Quest’anno le foglie cadono a primavera”. Questo è l’incipit della seconda traccia, a voler dimostrare che il titolo dell’album non è scelto a caso. Ritmo un po’ sudamericano ma senza esagerare, con una voce che si insinua fra le pieghe della musica senza dare fastidio.

3) A me piace lei. Qui i toni si fanno più allegri e sognanti. Una canzone d’amore vera e propria che, a dispetto del titolo e del primo ascolto, presenta un testo mai scontato. Particolarmente riuscito il passaggio “…se le piace camminare quando piove tanto, sarò l’ombrello…di qualcun altro…”.

4) Voce piccolina. Ci teniamo sulle atmosfere sognai della traccia precedente. Una chitarra che accompagna un bel ritmo e una che arpeggia. Cito “…sogna che sogno che sogni che sono vicino…” per sottolineare un testo come al solito fuori dagli schemi.

5) Buon appetito. Rientriamo nel tema principale dell’album. Qui l’amore viene trattato con cattiveria ed ironia. Una storia è finita e c’è rancore. Semplice e immediata grazie anche agli ultimi versi ripetuti ad libitum.

6) La più grande che ci sia. Forse però una nuova speranza per il sentimento c’è. La ritroviamo nel brano più breve dell’album. L’amore viene descritto come mettere la testa nella bocca del leone.

7) Sole. Ritorna la vena battistiana in questo pezzo carico di sentimento e belle immagini.

8) Parlando di lei a te. La canzone più intensa dell’album. Un testo che si ripete due volte ma con una differenza sostanziale: nella prima strofa lei c’è, nella seconda non c’è più. Ad accompagnare il tutto pochi accordi di piano molto semplici. Da ascoltare ad occhi chiusi e volume alto in cuffia.

9) Quel mazzolino. Ritmi più sostenuti per un brano divertente carico di belle idee e di ironia. L’amore al tempo dell’etilometro trova la sua strada nonostante tutto. “…non le sembra un controsenso scrivere un verbale? Questa non la capiranno mai…”

10) Sempre uguale a mai. Cancellare le parole che sono delle bugie, questo l’intento di Dente nella decima canzone dell’album. E arricchisce la narrazione di particolari spiegando il perché del suo essere contrariato.

11) Finalmente. Un metronomo scandisce il tempo e accompagna tutta la durata del pezzo. Il risultato è gradevole e anche il testo si adatta bene alla musica. Altro esempio di semplicità e arte.

12) Vieni a vivere. Una canzone vecchio stile, o quasi. Strofa, ritornello, strofa, ritornello, strofa, ritornello. Scelta come singolo dell’album non rispecchia del tutto il classico brano radiofonico. Fortunatamente, aggiungerei. Il testo è dolce ma non mieloso, la musica armoniosa ma non nauseante. Si potrebbe ascoltare innumerevoli volte senza fastidio alcuno. E questo si può dire di pochissimi singoli.

13) Solo andata. Qui ritorniamo sull’anticonformismo di Dente. Chitarra e voce non fanno rimpiangere altro. Il testo ha bisogno di parecchi ascolti prima di essere assimilato.

Nel complesso un lavoro magnifico, che si è meritato pienamente il premio di miglior album del panorama indie italiano del 2009. Il suo segreto sta nella semplicità degli arrangiamenti. Ad ascoltare certi pezzi sembra di poter dire “questo l’avrei potuto scrivere anche io, basta mettere due accordi in fila e suonarli con una pennata di chitarra!” ma proprio in questo sta il genio di Dente, saper portare alla luce l’ovvio che si nasconde agli occhi di chi è abituato a guardare troppo lontano. In più c’è quel pizzico di originalità che dona al tutto un sapore che si può gustare e gustare di continuo.

Consigliato a chi sa apprezzare la buona musica.

QPGA. Analisi e recensione



1972 – 2009.

A distanza di 37 anni, un più maturo Claudio Baglioni decide di ripubblicare il suo concept album di maggior successo. Se allora le ali della fantasia vennero tarpate dalle esigenze discografiche e sulla poca fiducia nei confronti di un giovane artista, oggi questi problemi sono un lontano ricordo e, dopo il film e il libro, ecco qua un doppio CD contenente 52 tracce che ripercorrono tutta la storia d’amore di due adolescenti dei primi anni ’70 con la capitale che fa da sfondo agli eventi. Numerosissimi gli ospiti che col loro contributo hanno impreziosito il lavoro del cantautore romano.

Entriamo dunque nel dettaglio dei brani e andiamo ad analizzare ogni singola traccia.

1. Overture. Il pezzo parte con alcuni vocalizzi dello stesso Baglioni che ripete l’acronimo che da il titolo al disco. Fa un po’ storcere il naso, poi parte un Andrea Bocelli che recita l’inciso di Questo Piccolo Grande Amore. Nulla di particolare.

2. Lungo il viaggio. Una vecchia canzone che doveva far parte dell’album originale in una versione rockeggiante. Piuttosto apprezzabile e ben riarrangiata.

3. Piazza del popolo. Comincia qui il viaggio attraverso Roma. I nuovi arrangiamenti sostituiscono la chitarra che accompagnava il pezzo originale e le sonorità sono diverse. A me piaceva più prima, ma è questione di gusti.

4. Una faccia pulita. I nuovi arrangiamenti stavolta non intaccano la struttura del brano, ma appare piuttosto inutile l’utilizzo di Irene Grandi nel finale.

5. L’incontro. Riccardo Cocciante da il via alla prima parte della strofa del tema principale che intervalla il disco.

6. Nuvole e sogni. Sul tema di Porta Portese una canzone che da poco all’album. Neanche gli toglie nulla, ma appare piuttosto inutile.

7. Due universi. Sul tema di Mia libertà una canzone di matrice da musical che serve a spiegare le diversità fra i due protagonisti. Non male, ma troppo lunga e ripetitiva. Forzata la collaborazione di D’Alessio e Tatangelo che non aggiungono nulla, apparte un banale duetto di chiusura che lascia il tempo che trova.

8. Se guardi su. Sul tema di Che begli amici una canzone d’intermezzo. Altra canzone che sembra messa per riempire. I Baraonna fanno da coro e Pino Daniele ci mette una chitarra solista di chiusura che c’entra poco con tutto il resto.

9. Centocelle. Secondo appuntamento col viaggio romano della storia. Con un ottimo Danilo Rea al piano. Decisamente apprezzabile.

10. Svelto o lento. Elio e le Storie Tese recitano bene un altro brano di riempimento.

11. Buon compleanno. Renzo Arbore e Morgan sul tema di Miramare accompagnano Baglioni. Testo debole.

12. L’appuntamento. Giorgia segue Cocciante e recita l’inizio della seconda strofa di QPGA.

13. Battibecco. I nuovi arrangiamenti snaturano la semplicità apprezzata nel pezzo originale. Una bravissima Paola Cortellesi si fa apprezzare per l’interpretazione del classico duetto. Incomprensibile la volontà di cambiare parte del testo e di aggiungere un ritornello che suona piuttosto stupido (“Battibecco, ah se ti becco io!…”????). Piacevano di più i classici stornelli romaneschi che qui appaiono integrati nel sottofondo del brano.

14. Con tutto l’amore che posso. Niente male la rivisitazione di questo pezzo. Ottima la partecipazione della Pausini che dona profondità al ritornello. Piuttosto innocua l’aggiunta di una parte della seconda strofa. Forse però erano migliori i vecchi arrangiamenti.

15. Lungotevere. Terza tappa romana. Rita Marcotulli al piano mostra la propria bravura.

16. Juke-box. Canzone che non serve a null’altro che a far partecipare Mario Biondi al disco.

17. Che begli amici. Era il pezzo che, pur trovando un proprio posto, meno convinceva nel disco originale. Stavolta gli arrangiamenti lo rendono più arioso e la partecipazione dei Pooh dona una voce finalmente chiara alla controparte del protagonista.

18. Tortadinonna o gonnacorta. Canzone sul ruolo della donna nella vita di un uomo sul tema di Battibecco. Si sentiva veramente l’esigenza di un pezzo del genere?

19. L’ultimo sogno. La PFM incanta con le proprie atmosfere, ma altro brano di riempimento.

20. Mia libertà. Nuovi arrangiamenti, ma in sostanza fedele all’originale.

21. Cosa non si fa. Il tema di In viaggio si presta ad un testo fuori tema.

22. Fiumicino. Scampagnata fuori città per la quarta tappa romana. Giovanni Allevi fa sentire la propria presenza con uno stile inconfondibile.

23. Il riparo. Antonello Venditti recita la seconda parte della prima strofa di QPGA.

24. La paura e la voglia. Giovanni Baglioni (figlio del padrone di casa) fa apprezzare il proprio stile da chitarrista in un brano strumentale di appena un minuto. Forse utilizzarlo in un pezzo “vero” avrebbe reso di più.

25. La prima volta. Le atmosfere fumose e appassionate che contraddistinguevano il brano originale scompaiono come per magia e tolgono carisma alla traccia. Ora appare noiosa.

26. Un solo mondo. Alessandra Amoroso chiude con una collaborazione che serve solo ai fini del marketing una canzone che fa rimpiangere il Baglioni che fu.

27. Preludio. Evoluzione all’organo dell’introduzione a Quel giorno.

28. Quel giorno. Collabora Joseph Calleja con l’inciso di QPGA a intervallare le strofe che rimangono fedeli all’originale. Non male.

29. Io ti prendo come mia sposa. Il nuovo arrangiamento piace, anche grazie a un violino di Branduardi che si fa notare. Peccato solo per quel “lei lui e nessuno, mai più due ma uno” che rovina la canzone.

30. L’arcobaleno. Mina recita la terza parte della prima strofa di QPGA. Solita grande Mina.

31. Noi sulla città. Il tema di Quanto ti voglio si presta ad un buon pezzo. Il testo è ben strutturato e utile alla causa. La collaborazione di Giusy Ferreri aggiunge un tocco di freschezza nel finale.

32. Stazione Termini. L’armonica di Bennato accompagna la quinta tappa del viaggio romano. Da segnalare il cambio di titolo. Probabilmente “Cartolina rosa” non era in linea con un filo che conduce per mano attraverso la capitale.

33. Ancora no. “Quanta strada da fare” e “Ci fosse lei” prestano i rispettivi temi ad una canzone di riempimento. Nel finale Giuliano Sangiorgi non regge il confronto del duetto con Baglioni.

34. Buon viaggio della vita. Canzone inserita nell’album al punto opportuno. Non credo proprio facesse parte del progetto originale.

35. Sissignore. Il pezzo risulta divertente ed energico. Sul tema di Miramare viene descritta la vita militare con una certa rassegnazione.

36. Mia nostalgia. Forse il brano migliore dell’opera. Fra Walter Savelli al piano e Fiorella Mannoia in duetto con Baglioni si ripercorre Mia libertà adattandola al caso. Una canzone che nell’album originale avrebbe ben figurato.

37. Il rimpianto. Ivano Fossati recita la terza parte della seconda strofa di QPGA.

38. Come sei tu. Pezzo lento che si rianima solo nei ritornelli. Dolcenera convince nei controcori ben inseriti.

39. Pensione Stella. Sesta tappa. Siamo lontani da Roma.

40. Questo Piccolo Grande Amore. Ennio Morricone al piano. Il pezzo di maggiore rilievo. Il risultato è un capolavoro piuttosto scadente. Scomparsa l’atmosfera che ha segnato il successo del cantastorie dei giorni che furono. Gli arrangiamenti distorcono le sonorità che diverse generazioni hanno idolatrato. Quella del ’72 fu votata come miglior canzone del secolo. Probabilmente questa, se fosse inedita, aspirerebbe al massimo a vincere il Festivalbar.

41. Al mercato. Divertente anteprima di Porta Portese.

42. Porta portese. Fiorello sostituisce il “venditore de carzoni”. La particolarità della canzone originale era lo stornello finale che gettava nella disperazione il protagonista e nei ricordi confusi e accavallati che coinvolgevano l’ascoltatore. Ascoltata con attenzione faceva scendere qualche lacrimuccia. Cosa ne è stato????

43. Fiore de sale. La bella interpretazione della Vanoni non riesce a sopperire alla mancanza di quanto esposto sopra.

44. Quanto ti voglio. Seppur godibile, non è paragonabile alla sana angoscia che trasmette l’originale.

45. Con tutto il mio cuore. Jovanotti e la tromba di Fabrizio Bosso in una canzone totalmente inutile.

46. Il ricordo. Gianni Morandi recita la seconda parte della seconda strofa di QPGA.

47. Un po’ d’aiuto. Inedito, privo di ispirazione, piazzato a riempire un immaginario vuoto.

48. Via di Ripetta. Settima tappa, quella conclusiva. Il jazz di Stefano Bollani accompagna al piano.

49. Una storia finita. Il tema di Una faccia pulita. Un testo debole. Niente più.

50. Sembra il primo giorno. Gli arrangiamenti rinnovati non hanno l’effetto sperato. Un bravo Battiato non basta a salvare il brano.

51. Suite. Praticamente la reprise di “Con tutto l’amore che posso” riarrangiata.

52. Niente più. Non c’entra nulla col disco. Fa solo da titoli di coda all’album. Niente di eccezionale.

Da una parte il disco si presenta come un’opera originale. Riunire tanti artisti a realizzare il remake di un album di successo è stata una bella idea. Purtroppo come succede sempre inevitabilmente, si perde di vista il vero senso dell’opera originale. Così la vera arte si sacrifica all’altare della tecnica: gli arrangiamenti appaiono ottimamente realizzati, ma studiati a tavolino. Le belle atmosfere adolescenziali lasciano il posto a quella che sembra una parodia. La storia viene narrata con distacco anziché con coinvolgimento. Se nell’originale Claudio Baglioni era protagonista del proprio disco, ora ne è solo la voce narrante.

A tratti il disco fa quasi rabbia per l’occasione persa di realizzare qualcosa di grandioso e molti brani possono tranquillamente essere “skippati” durante l’ascolto.

Il materiale e gli artisti che Baglioni aveva fra le mani potevano far entrare questo disco nella storia della musica italiana. Un vero peccato.